Viaggio nelle Geografie

A Monfalcone dal 30 Marzo al 3 Aprile 2022 si è tenuta la quarta edizione del Festival letterario “Monfalcone GEOgrafie”. La scelta della città ospitante è legata alla sua storia e alla sua posizione di crocevia tra l’Europa orientale e occidentale. Il festival, grazie a numerosi interventi, permette di apprezzare e approfondire realtà territoriali e umane di tutte le epoche.


 Il lasciapassare

Durante la mattinata del 2 Aprile, presso la Piazza della Repubblica di Monfalcone, hanno avuto luogo due interventi. Il primo è iniziato con la presentazione da parte di Patrizia Artico, portavoce del sindaco di Gorizia, della prossima Capitale europea della cultura. La collaborazione di due realtà divise ha garantito a Nova Gorica e Gorizia il conseguimento del titolo di “Capitale Europea della Cultura 2025”, la candidatura della città slovena ha reso necessaria la partecipazione di Gorizia, componente storica e culturale del territorio. L’unione fra due realtà distinte e spesso opposte è il risultato di un recente processo di maturazione culturale che ha permesso il superamento di numerosi elementi di divisione e di profonde cicatrici. L’evento atteso nel 2025, oltre ad essere un'ottima opportunità per la condivisione di questo significativo messaggio di collaborazione, rappresenta un considerevole impulso economico per il turismo regionale. La struttura turistica di Gorizia attualmente non è in grado di sostenere l’impatto atteso, pertanto è risultato necessario lo stanziamento di bandi regionali attraverso l’attivazione di un masterplan turistico volto a ottenere dall’iniziativa un’equa ripartizione dei benefici sul territorio.

Le qualità culturali e storiche che hanno portato Gorizia e Nova Gorica al conseguimento del titolo di “Capitale Europea della Cultura 2025” sono strettamente legate al passato del territorio. Roberto Covaz, scrittore e giornalista del “Piccolo”, tramite un concreto paragone ha reso chiara la situazione presente sul confine fra Italia ed ex-Jugoslavia in seguito alla fine della seconda guerra mondiale. La partecipazione delle città a un progetto europeo di tale portata affranca il territorio dagli elementi ereditati da questa situazione di forte disagio storico.

Tramite un racconto breve e arguto, Covaz ha esposto la sua esperienza militare del febbraio 1985. A Roberto e ad altri compagni destinati a Gorizia fu caldamente consigliato di prestare attenzione al confine (al tempo considerato pericoloso) e alle possibili torture nelle quali sarebbero incorsi con il suo oltrepassamento. Questo assetto politico oppressivo era fortemente influenzato dalla cortina di ferro che, separando Gorizia dalla Jugoslavia, sanciva il confine fra l’occidente liberale e il blocco sovietico. 

La comunità di frontiera patì il confine fino al verificarsi di tre eventi determinanti per l’acquisizione dell’indipendenza slovena. La prima di queste tappe fu la “guerra dei balcani” nella quale, durante il giugno del 1991, la Slovenia fu la prima repubblica della federazione jugoslava a sfidarsi per l’indipendenza. I successivi episodi determinanti per l’indipendenza slovena si verificarono in corrispondenza del suo ingresso nell’UE e nel trattato di Schengen. L’accesso della Slovenia all’area Schengen determinò l’eliminazione dei confini e l’abolizione della "Prepustnica" (documento richiesto ai cittadini per l’attraversamento del confine che divideva l’Italia dalla Jugoslavia). L’omonima guida turistica, elaborata da Covaz, segue un criterio emozionale che ripercorre i luoghi esplorati dall’autore durante la sua carriera lavorativa. Questo processo motiva la presenza, all’interno dei percorsi, di una cospicua quantità di luoghi situati nelle periferie di Gorizia.

L’itinerario parte dal quartiere operaio di Straccis e, appassionandosi alle storie paesane, fa riferimento al significato storico del cimitero di Merna, alla simbologia medievale del Castello di Gorizia e di via Rastello, alle trasformazioni subite da piazza Sant’Antonio e alle singolarità del fiume Isonzo.

Le caratteristiche dei 6 percorsi, infatti, sono basate su elementi strettamente emozionali che sorvolano il rancore e il “confine in testa” al quale molti goriziani ancora oggi sono legati.

L’esposizione di Roberto Covaz è proseguita con la narrazione di un evento epocale verificatosi il 13 Agosto del 1950. La neonata Nova Gorica era caratterizzata da uno stato primitivo che spostava l’interesse dei suoi residenti verso Gorizia. La domenica della vigilia di ferragosto si presentarono al confine migliaia di residenti jugoslavi desiderosi di riunirsi alla propria comunità o di comprare diversi tipi di merce non disponibile a Nova Gorica. Tra le merci maggiormente acquistate erano presenti le scope di saggina, brandite simbolicamente dalle donne durante il ritorno a casa. 

Dal mio punto di vista, l’abbattimento metaforico del confine ha rappresentato il superamento del concetto di “frontiera” e l’avvicinamento popolare a un’ideologia comunitaria ancora lontana dalla sua concretizzazione. Il ruolo assegnato alle due città tramite l’attribuzione del titolo di “Capitale europea della cultura 2025” è quello di valorizzare il raggiungimento di questo ideale, riconoscendo il processo storico che lo ha reso possibile.

Fra le destinazioni consigliate da Roberto Covaz, hanno attirato la mia attenzione il cimitero di Merna e “la casa del duce”.

La posizione del cimitero di Merna corrisponde con la fine della commemorativa strada del Vallone. All’interno del suo perimetro, il cimitero presenta una peculiare pavimentazione che marca il confine di cui i cittadini subivano l’oppressione.

Il numero 6 di viale Colombo presenta una casa popolare eretta nel settembre del 1938 da Mussolini, il quale, reduce dal discorso sulle leggi razziali di Trieste, stava portando l’Italia verso la seconda guerra mondiale. In questo edificio abitarono in seguito un funzionario della questura, un carabiniere, un partigiano e una famiglia slovena. É esemplare il rigore con il quale queste persone decisero di collaborare, riconoscendo e rispettando l'esistenza di un microcosmo che li univa sotto lo stesso tetto.

L'Italia dell'Antropocene, il Grand tour nella terra delle isole disperse

“Viaggio nell'Italia dell'Antropocene” è un libro a tre nomi, Telmo Pievani e Mauro Varotto sono gli autori presenti sulla copertina mentre Francesco Ferrarese è il cartografo che ne ha curato l’aspetto illustrativo. 

Il libro unisce tre tipologie di linguaggio: la realizzazione di un racconto “semi-serio” ha subito l’influenza filosofica e pittoresca di Telmo Pievani, il linguaggio logico-concettuale è stato affidato a Mauro Varotto tramite l’applicazione delle sue conoscenze accademiche e, infine, il linguaggio cartografico di Francesco Ferrarese ha apportato alle descrizioni maggiore concretezza.

Il sottotitolo “La geografia visionaria del nostro futuro” introduce una capacità di visione immaginifica ma al tempo tempo stesso fedele ai cambiamenti climatici che affliggono la Terra. La collocazione narrativa nel 2786 assicura gli autori da qualunque contestazione previsionale, garantendo inoltre al lettore un’interessante prospettiva distopica.

Il libro crea una dialettica tra i tempi lunghi dei cambiamenti abiotici e i tempi brevi della storia, sviluppando un’alterazione della percezione temporale. La definizione di una data letteraria ha permesso agli autori di trovare un’alternativa in grado di evitare una collocazione lontana e, di conseguenza, non sufficientemente allarmante, e le contestazioni previsionali derivanti da un’ambientazione eccessivamente vicina al presente.

Il libro analizza territorialmente numerose entità, rendendo evidenti le conseguenze pervasive del cambiamento climatico, la visione cartografica, inoltre, include visioni frontali che raffigurano intere città sommerse a causa dell’innalzamento dei livelli marini. 

Il libro può essere interpretato anche come un richiamo al dark tourism grazie alla rappresentazione di numerosi iconemi ed elementi di fallimento dell’umanità che i turisti osservano comprendendo gli errori delle civiltà passate. 

Il tono della narrazione di Piovani, tuttavia, non assume carattere apocalittico ma si limita alla descrizione di un viaggio leggero. In questa leggerezza è contenuta l’adozione di soluzioni che si avvalgono del patrimonio culturale nazionale; ne sono un esempio le immersioni subacquee a Venezia, la rifondazione di Napoli sul Vesuvio e l’assetto palafitticolo di Firenze. É evidente la prevalenza della speranza e della fantasia sul pessimismo, tramite questa scelta viene data fiducia alla capacità del genere umano di affrontare i problemi e di trovare soluzioni.

I toni chiaroscurali percepiti durante la lettura non permettono di iscrivere il libro all’interno di filoni di letteratura distopica o in nuove forme di linguaggio contemporaneo provenienti dalla corrente dell’ ”ecocriticism”. Il volume potrebbe rientrare nel neologismo “cli-fi” (climate-fiction) tramite il quale si descrive una narrativa che esplora le conseguenze del cambiamento climatico.

La dispersione degli insediamenti umani suscita nell’uomo la necessità di ricercare isole e territori di stabilità o di attuare delle strategie di reimpiego delle terre perse. Un esempio attinente è quello della Sicilia che viene descritta come un deserto o della Sardegna che, durante il racconto, appare come un grande parco nazionale.

Ho riscontrato particolare interesse ascoltando le differenze derivanti dall’adozione di  soluzioni eco-tecniche ed eco-tattiche. Penso che affidarsi esclusivamente alla tecnologia rappresenti una soluzione fortemente limitante che i governi potrebbero delegare solamente alle élite a causa della diffusione non omogenea del progresso tecnologico. Oltre a essere egoistica discriminando la fascia più povera della popolazione, lo è nei confronti dell’ecosistema animale e vegetale. 

Al contrario, credo che una soluzione eco-tattica porterebbe all’educazione e alla conoscenza del legame inscindibile che unisce l’uomo alla natura. Questa sfida epistemologica riporterebbe l’uomo a essere un elemento naturale che interviene senza eccedere negli equilibri ambientali sbilanciati dall’antropocene.

Emanuele Riul 4^BT