Inaugurata la mostra storico-documentaria “In fuga dalla guerra"


Martedì 28 maggio è stata inaugurata la mostra storico-documentaria “In fuga dalla guerra. I profughi della Prima guerra mondiale in Emilia Romagna. La realtà piacentina… racconti friulani tra Pradamano e Piacenza”, realizzata dall'Isrec-Istituto di Storia Contemporanea di Piacenza, con la collaborazione dell'IFSML-Istituto Friulano per la  Storia del Movimento di Liberazione e della Associazione “Zanon Amico”. La mostra è visitabile nell’atrio dell’Istituto fino al termine delle lezioni scolastiche. All’inaugurazione erano presenti l’avv. Giovanni Ortis (Presidente dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione), la prof.ssa Monica Emmanuelli (sempre dell’IFSML), il rag. Mario Savino (Presidente dell’Associazione “Zanon Amico”) e il Dirigente Scolastico Annamaria Pertoldi. Paolo Ferrari, professore associato di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Udine (autore con Alessandro Massignani di Giovani e guerra. Una scuola al fronte 1914-1920, sugli studenti dell’Istituto Zanon protagonisti della Grande Guerra, di recente edito a cura dell’Associazione “Zanon Amico”), ha svolto una breve prolusione storica nel corso della quale ha ricordato le vicende dei profughi friulani accolti, dopo le tragiche vicende di Caporetto, in Emilia-Romagna e in particolare nel Piacentino. Ha inoltre messo in luce le diffidenze e i pregiudizi nei loro confronti, che non mancarono a causa delle ristrettezze sul piano occupazionale e per la necessità di spartire le già scarse risorse disponibili in una economia votata alla guerra, ma anche l’impegno operoso non solo delle autorità, ma anche di Comitati locali, spesso animati da "pie dame" e da "signorine di buona famiglia", dalla Chiesa e dalla CGL, il sindacato socialista, presenti sul territorio.

Una prima evacuazione, per ordine del gen. Cadorna, della popolazione civile avvenne nell’immediato inizio del conflitto dalle aree a ridosso del fronte (come a Pontebba, Timau, Forni Avoltri, Sappada, i territori e le valli limitrofe) e in quelle man mano interessate dalle operazioni militari del Friuli orientale e dell’Isontino. A questo proposito, va ricordato che l’esodo interessò anche i civili del Friuli austriaco e successivamente del goriziano, che furono inviati all’interno dell’Austria in grandi campi di raccolta come Wagna, dove restarono per tutta la durata della guerra.

Il grosso dell’esodo si ebbe dopo le giornate di Caporetto e interessò dalle province venete quasi mezzo milione di persone, tra le quali 135mila friulani. Per la loro distribuzione sul territorio nazionale fu istituito dal Governo Orlando l’Alto Commissariato per i profughi di guerra, che destinò quote di profughi alle province in ragione della distanza dal teatro di guerra e della loro capacità di accoglienza; il numero maggiore di profughi dal Friuli fu accolto nell’ordine in Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Campania. L’aspetto forse più drammatico che l’esodo comportò fu la dispersione dei nuclei comunitari e di quelli familiari, per cui molti bambini si ritrovarono, per le circostanze della fuga e per la concitazione di quei giorni, separati dai loro genitori.

La mostra riguarda in particolare la Provincia di Piacenza, che ospitò quasi quattromila profughi friulani (723 la sola città di Piacenza), dei quali ricostruisce la vita quotidiana, tendente a ricomporre una difficile normalità, i problemi legati all’assistenza, all’alimentazione, alla collocazione abitativa, al lavoro, alle condizioni igienico-sanitarie, all’inserimento nelle comunità locali non sempre accoglienti e spesso diffidenti (diffuso era il pregiudizio che i profughi fossero “austriacanti” o comunque indirettamente responsabili del conflitto che stata devastando il Paese).

Un focus particolare la mostra dedica ad una giovane maestra piacentina, di famiglia alto borghese, Anna Beatrice Vaciago, che si adoperò nel dare assistenza e ad ospitare nella sua casa una famiglia di Pradamano. Dopo la guerra, si trasferì da Piacenza a Pradamano con il marito, acquistò una casa nel centro del paese e divenne maestra ed educatrice dei bambini del paese. Quando nel 1924 il marito morì prematuramente, fece ritorno a Piacenza, non prima di aver donato la sua proprietà al Comune perché la trasformasse in un asilo per l’infanzia, contribuendo con questo suo gesto alla ricostruzione del Friuli nel lungo e tribolato dopoguerra.

La semplice storia di Anna Vaciago ci offre l’esempio di un’Italia cooperante e solidale pur in una situazione di estremo disagio sociale, quale fu quella determinata dalla guerra e dal difficile dopoguerra, un esempio che può insegnare molto, sul piano etico e civile, a quanti oggi vivono nel nostro Paese – spesso con disinteresse o con malcelata ostilità – l’esperienza dell’esodo, tanto diversa nelle sue dinamiche e nelle sue coordinate geografiche e culturali da quella d’allora, ma anche tanto simile sul piano umano nel mettere in campo pratiche e valori fondamentali quali l’accoglienza e la solidarietà.